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PRIMOPIANO
13/02/2007 - SUGLI AUMENTI IN BUSTA PAGA NON SERVE ILLUDERE LA GENTE
Anche in altri tempi si è giocato sul valore delle retribuzioni. Spesso sono stati pubblicizzati come conquiste di peso, piccoli aumenti in sede contrattuale. Nel passato, però essendoci anche la scala mobile ad attenuare la corsa all’aumento dei prezzi, in qualche maniera lo scotto negativo non era percepibile come un fatto drammatico. C’era la delusione che montava con il passare del tempo, ma la vita non presentava grandi scossoni tra il potere del sindacato e le possibilità di confrontarsi civilmente in sede di trattativa. Ora le cose sono cambiate. La Finanziaria ha illuso il popolo che vive di busta paga e nulla più, i prezzi non hanno alcun calmiere affidabile e non sono regolati da alcuna legge fondamentale. Diciamo che il consumatore è lasciato al suo destino senza avvocati di difesa e senza che possa fare alcun passo di fronte a quelli che governano il mercato della produzione, quello della distribuzione e, infine, quello del consumo. Non solo in agricoltura abbiamo salari al minimo storico in questo paese ancora dominato dalla disoccupazione e dall’assistenzialismo, ma in tanti altri settori della vita pubblica e privata i conti a fine mese costringono ogni cittadino a regolarsi, a fare il bilancio sempre in perdita;impossibilitato, com’è, di fare programmi futuri pere la propria vita e il proprio mondo che resta di stenti sempre più gravi. E’ diventata una normalità lamentarsi che a fine mese non si arriva con lo stipendio mentre i costi vanno alle stelle. Noi abbiamo auspicato la riduzione dello stato di disoccupazione che lascia la gente alle prese con fattori di emergenza dove la previdenza resta un auspicio come fatto da riformare e l’avvenire pensionistico è condizionato dall’oggi dentro cui si vive una dimensione umana che sfiora la desolazione. Anche perché la politica non migliora, non garantisce nuove condizioni. Il sistema economico italiano resta al palo di fronte ai progressi che in altre parti del mondo si registrano. Non è veritiera la tesi secondo cui ci si riferisce ad altre realtà europee e mondiali quando si vuole valutare la difficoltà di vita che si registra in questo nostro paese. Ogni paese ha i suoi problemi, le dimensioni della propria esistenza, le problematiche politiche ed economiche a cui rivolgere la propria capacità ed il potere operativo delle sue energie. In ogni parte del mondo, in un sistema democratico, si è abituati a fare i conti con le difficoltà e gli sbalzi del sistema economico e politico. Ma qui, in Italia, ci sembra di vedere attività sociali e fattori economici in movimento che non solo non rispondono ad una logica di sviluppo, ma fanno intravedere a volte rischi di arretramento e di ulteriore difficoltà. Vale a dire che non solo sopportiamo le difficoltà e le crisi, ma non siamo animati da speranze fondate di un domani migliore. La Finanziaria di quest’anno, su cui, come giornale, ci siamo spesi e per cui abbiamo anche fatto proposte e indicazioni a tempo debito, ogni giorno viene richiamata per tanti aspetti contraddittori; perché ora gli enti locali trovano che molte cose non sono sboccate e s’è ipotizzato un intervento locale del cittadino contribuente, per cui il fisco diventa più oneroso del previsto, mentre dalle regioni vengono invocati interventi dello Stato per questioni che, poi, le ristrettezze della finanziaria bloccano. L’aumento dei redditi per i lavoratori dipendenti sono un autentico bluff. I benefici della manovra riguardano sparute minoranze e comunque non toccano il cuore dello Stato e lo stato sociale nella sua interezza e nei suoi valori fondamentali. Le pensioni, la cui trattativa è ulteriormente rinviata nonostante i solenni impegni di Prodi più volte sbandierati, ora subiscono pur’esse condizionamenti e ristrettezze dovute alle sinergie che la finanziaria coinvolge inevitabilmente.
Abbiamo invocato una riforma pensionistica che tenesse conto di quanto hanno pagato i lavoratori anche in termini di salario dilazionato. Pensando che il costo del lavoro per tutti i lavoratori, avendo toccato estremi livelli insopportabili, almeno venisse considerato al tempo dei conti sulle pensioni. Ed invece, durante la fase lavorativa, s’è pagato molto, gli accantonamenti sono stati finalizzati al meglio e non certo per far morire di fame il cittadino pensionato. Ci troviamo con rinvii immotivati e ingiustificabili. La busta paga è leggera come una foglia essiccata di quercia. Le fasce più deboli non hanno usufruito di alcuna forma di redistribuzione del redditi. Assistiamo anche ad una certa insofferenza degli stessi sindacati confederali che non possono non rendersi conto delle delusioni dei lavoratori che nulla stanno guadagnando nonostante la corsa all’aumento dei prezzi stia rendendo drammaticamente sempre più insufficiente ciò che guadagnano col il sudore della propria fronte ed i sacrifici immensi di cui è costellata la loro vita. Noi siamo per un contratto sociale che sia in grado di toccare tutti i tasti di cui è composto il rapporto stato-cittadino, che non è un mondo chiuso in fabbrica, negli uffici o comunque dentro la condizione del cittadino tra i cancelli della propria esistenza dilaniata da una società che poco o niente offre nel sociale, tranne eccezioni che riguardano minoranze. I redditi bassi restano ulteriormente falcidiati dai provvedimenti attuali. Da una parte non c’è aumento di lavoro, la base occupazionale è ristretta ; dall’altra il lavoro che c’è non rende per come sarebbe giusto. Infine, va detto che la condizione generale del paese e la vita di ogni cittadino non sono segnati da fatti apprezzabili. La ristrettezza economica impedisce anche lo svolgersi di attività vitali per la gente, che trova utopistico occuparsi e vivere il tempo libero, di fruire di attività formative ed educative quali il turismo, il mondo dell’arte, il consumo dei prodotti artigianali, le manifestazioni artistiche e civili. Diciamo che i cittadini non possono estrinsecare le loro potenzialità come essere creativi e liberi. Non si allarga la sfera degli interessi di vita della gente. E noi siamo costretti a proporre, a dire, a lottare. Per non parlare, infine, dei grandi fatti che attengono ai rapporti tra i fattori generali del sistema economico e la pochezza della politica che arretra ulteriormente. Siamo allarmati, sfiduciati, preoccupati. Auspichiamo una presa di coscienza reale a livello governativo e politico; pena l’arretramento ulteriore del nostro paese in un’epoca dove nuove civiltà vengono avanti e si affermano. Fortunatamente, diciamo noi. Ma ben pensosi del dato che il nostro paese deve andare avanti e recitare il ruolo che la sua storia, la sua cultura, la sua civiltà indistruttibile, gli consentono. Non sia tutto economia pura e semplice.
Il Segretario Nazionale
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