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29/01/2004 - VITA IMPOSSIBILE CON L’EURO

Da quando l’Euro è entrato a far parte della nostra esistenza, gli italiani si sono trovati in serie difficoltà: il costo della vita è diventato impossibile, gli aumenti incontrollati e i cittadini hanno man mano ritenuto inevitabile dover spendere meno. A causare questa grave situazione hanno contribuito anche la scetticismo nei confronti del Governo, il crack della Parmalat, il problema delle pensioni e la perplessità nei confronti del futuro degli italiani. Secondo il leader della Cisl, Savino Pezzotta, “addossare all'introduzione dell'euro tutta la responsabilità sulla perdita del potere di acquisto è operazione sbagliata perché l'innalzamento dei prezzi ha cause diverse. Semmai sono mancate scelte e controlli adeguati per evitare il surriscaldamento del costo della vita, in coincidenza col passaggio della lira all'euro”. Non possiamo non essere d’accordo con il leader della Cisl; fatto sta che gli italiani spendono sempre meno, anche se ormai è chiaro anche ai più scettici che l’entrata dell’euro ha consentito al nostro paese di agganciarsi all’Europa, causando un abbassamento del tasso d’inflazione proprio dovuto alla nuova moneta. Pur essendoci questi vantaggi, non riusciamo però a spiegarci perché in Italia i prezzi sono aumentati più degli altri paesi europei; a questo quesito, Pezzotta ha tentato di trovare una risposta: “Sarebbe sciocco dire che, nel momento del cambio moneta, non vi siano state delle tensioni; ma questo ci avrebbe allineato ai nostri partner continentali. Se non è stato così è perché vi sono state speculazioni e furberie all'interno del nostro sistema commerciale. Questo è potuto avvenire per la scarsità dei controlli. Ora, più che incolpare l'euro e assolvere gli speculatori, sarebbe stato opportuno mettere tempestivamente in campo misure repressive; far applicare le leggi sul commercio; avviare una politica di indirizzo su prezzi e tariffe. Ma soprattutto ripristinare la politica dei redditi come definita nell'accordo del 23 luglio 1993”. L’accordo nominato da Pezzotta, dal titolo “Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo”, ha consentito la difesa del potere di acquisto dei salari e delle retribuzioni, ma, secondo la mia opinione, non la loro crescita, dal momento che è accertato che i quattro quinti della ricchezza prodotta in questi anni sono andati in direzione di profitti e tasse. Forse, qualcosa di questo accordo dovrebbe essere cambiato: la grave crisi ed il declino industriale e produttivo richiedono che l'idea - già contenuta nell'accordo di undici anni fa - di investimenti in ricerca, innovazione e formazione venga ripresa, potenziata e attuata. Di tutti gli obiettivi indicati nel 1993, questo è sicuramente quello più disatteso: l'Italia di oggi investe meno in questi settori rispetto all'inizio degli anni 90. L'accordo recentemente firmato con Confindustria riprende e indica correttamente i contenuti di politica industriale per sostenere lo sviluppo del Paese, che in caso contrario sarà destinato - come oramai tutti affermano - ad una progressiva emarginazione nel commercio mondiale. Così come ci sarebbe bisogno di una politica dei redditi, ma non se ne vedono le condizioni nella politica del Governo: non ci sono controlli su prezzi e tariffe, mentre è evidente che la nostra inflazione viaggia su una media più alta di quella europea e, con la moneta unica, questo svantaggia le imprese del nostro Paese. A questo scopo, Pezzotta ha dichiarato: “A nessuno sfugge la concomitanza tra abbandono delle politiche concertative, politica dei redditi e normalità nei rinnovi contrattuali e perdita del potere d'acquisto dei salari e delle pensioni. Queste nostre osservazioni sono talmente vere che, per quanto riguarda le pensioni, recentemente la Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento di studiare un nuovo meccanismo capace di assicurare un reale adeguamento dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita. Le strade che si possono intraprendere non sono molte: o c'è una vera politica dei redditi o scatta inesorabilmente una rincorsa prezzi, salari, pensioni i cui effetti non sarebbero positivi”.

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