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PRIMOPIANO
28/11/2006 - PENSIONI, SIAMO D’ACCORDO CON PRODI A MARZO LA FASE DUE, MA…
Oramai sembra una promessa mantenibile. Forse lo è. Entro Marzo 2007 si definisce la fase due della riforma del sistema pensionistico, dopo, e secondo il protocollo d’intesa sul TFR. Che evidenzia il quadro generale di modi e tempi per l’attuazione dell’attesa riforma. Ma non basta questo assunto. Non bastano le pur inevitabili parole d’impegno sul piano generale. Si deve aprire una vera e propria condizione di coinvolgimento delle parti sociali, tenendo presente che la qualità della rappresentatività, che non mettiamo noi in discussione se non come avvertimento per la migliore riuscita del confronto, deve essere tale che, comunque, le attese dei pensionati e di tutti i lavoratori interessati in materia di pensioni, non subisca alcuna forma di delusione essendo le pensioni, e i problemi connessi, un perno fondamentale della vita dello stato sociale ed economico . Si deve arrivare alla presa di coscienza che il tema delle pensioni non può essere visto come questione marginale che interessi solo quelli che hanno finito la fase lavorativa e “diventerebbero” quasi soggetti passivi da assistere da parte dello Stato attraverso gli Enti preposti alla bisogna. Occorre sottolineare che il pensionato è utile, importante, operativo, ancora soggetto attivo di creatività, di impegno sociale ed economico come portatore di valori e di esperienza di cui la società non potrà mai fare a meno. Per questo avvertiamo un disagio nel mentre assistiamo alle prime schermaglie, che tali riteniamo siano la discussioni in atto, in materia anche di riforma dell’intero sistema pensionistico. Che, ripetiamo, non comporta solamente questioni di compatibilità economica di sistema e di rapporti Ue, ma soprattutto di questioni attinenti alle cose vitali del sistema economico-produttivo del paese, nel mentre va avanti la nuova ipotesi di sviluppo che si lega alla valorizzazione del bene ambiente, delle attività e delle ricchezze culturali e storiche, del tempo libero, delle attività creative dell’arte e dell’artigianato, nonché ai poteri di fruizione delle attività ricettive ed assistenziali nel vasto campo del turismo di massa e di qualità. E quello che si decide per il sistema pensionistico è guardato a breve da tutto il paese e dalle sue componenti sociali. Vale a dire che la cosa non riguarda chi è in pensione o chi sta per andarci, ma anche tutti gli altri che prima o poi ne saranno coinvolti.
Il pensionato non ha solo quello che in atto le stesse confederazioni stanno mettendo nelle bozze delle loro rivendicazioni. Non è solo questione sintetizzabile nel loro linguaggio definito e che parla di diritto al benessere, alla salute, alla qualità sociale, alla sicurezza, alla equità sociale e per l’equità del sistema previdenziale e fiscale.
Questo linguaggio, già pubblicizzato dalla piattaforma dei confederali, ha un significato estremamente pericoloso in quanto generalizza troppo, enfatizza i problemi, fa prevedere sfumature colpevoli in tema di confini tra diritti reali e rivendicazioni certe e i fatti fumosi, dove si può sottoscrivere tutto prendendo per i fondelli gli interessati, senza punti di riferimento chiari e comprensibili su cui fare le dovute verifiche, soprattutto in tema di mantenimento degli impegni. Vogliamo vedere qualche esempio di fatti elementari su cui le gente avrebbe voglia di capire e di sentire discutere? Uno tra tutti: il rapporto tra età pensionabile, quantificazione della pensione, stato sociale e lavorativo dei giovani, peso dello stato di disoccupazione che si prolunga per oltre i quaranta anni, in casi tutt’altro che trascurabili come entità numerica e qualità di attività connessa. Perché non si parla della possibilità del minimo di anni utili per maturare la pensione e l’influenza che sulla sua attuazione rivela la condizione di disoccupato? Se uno sta disoccupato, per esempio, fino ai quaranta anni, come fa ad avere il minimo di anni contributivi per maturare la pensione ? Quando si affronterà la questione dell’età complessiva del lavoratore e del disoccupato entro cui far quadrare i conti per la verifica reale della possibilità lavorativa del soggetto interessato? Da una parte si richiede un numero minimo di anni per il diritto alla pensione; dall’altra, per l’avviamento al lavoro, non vengono previste condizioni particolari da tenere presenti quando si deve stabilire il numero degli anni lavorati e la situazione generale contributiva sia per il calcolo complessivo della quantità, sia per la quantificazione degli anni necessari per accedere alla pensione. E’ giusto? E perché non ci occupiamo con vigore, con convinzione, con equità di siffatta tematica? Forse si scomodano troppo gli industriali ? Forse si sfidano i rigori di quelli che vogliono sempre e comunque legare la vicenda delle pensioni alla finanziaria di turno? Di sicuro, non ci sentiamo estranei alla questione del bilancio dello Stato ed alle compatibilità di tutte le questioni che attengono all’assistenza ed alla previdenza sociale, con le entrate ed i costi in uno stato democratico e produttivo. Ma sarebbe buffo sacrificare interessi umani e sociali alle logiche del sistema economico dove è risaputo che spesso le entrate vengono utilizzate magari contro i poveri, e per consolidare gli interessi dei manager, dei cosiddetti professionisti che, poi, spesso sono tutt’altro che della stoffa che si propaganda. Indossano l’abito della professionalità ed hanno il corpo del portaborse e del privilegio a cui sorriderà una pensione milionaria che nulla ha a che vedere con il premio a chi merita perchè dà più e meglio di altri. Non ci convince l’elevazione dell’età pensionabile perchè, tra l’altro, vediamo appunto questa necessità di verificare la possibilità di svolgere una certa età nell’arco della vita su cui deve far pesare anche lo stato di disoccupazione ai fini pensionistici. E perché, poi, non legare la condizione economica ad agevolazioni vere e concrete in termini socio-economici, soprattutto per le pensioni più povere, in materia di assistenza sanitaria, di utilizzazione di beni e mezzi pubblici in materia di comodità di vita? Per esempio: agevolazioni su trasporti, beni alimentari, assicurazioni, telefoni, casa, svaghi, uso del tempo libero, acquisto di giornali, sale di ricreazione con prezzi controllati, accesso gratuito a cinema, strutture d’arte, teatri, mezzi di trasporti, campi da gioco, stadi. Ovviamente con contrattazione dove far pesare le condizioni ambientali e legata alla realtà regionale, provinciale, comunale. Perché non abolire i privilegi di chi ha deciso da se stesso la qualità e la quantità del pensionamento, come nel caso dei parlamentari e consiglieri regionali, dove abbondano ingiustizie, privilegi, sprechi inconcepibili? C’è una questione di finanziamenti per fare le cose per bene? Se usciamo dall’ottica delle abitudini contrattualistiche, dentro cui stanno gli antichi criteri, ed entriamo in una fase di ragionamento nuovo e reale, vediamo che tante cose ci vengono in mente, tante possibilità di accogliere le richieste della gente che diventano materia che contraddistingue protocolli d’intesa e leggi per uno stato sociale giusto con un contratto vero, valido per tutti, accolto da tutti. V’è poi la questione della compatibilità tra le richieste del mondo dei pensionati e lo Stato con le sue finanziarie. Innanzitutto suggeriamo la compatibilità tra il valore della pensione e le possibilità dei pensionati di pagare affitti, luce, gas, generi alimentari, costi del sistema sociale e sanitario e dei servizi in genere. Sono questi i dati da tenere in conto prima che il rapporto tra entrate ed uscite dello Stato per il quale si sente dire, ed a ragione: “ ma che Stato è quello che lascia morti di fame e privi di aiuti i cittadini che hanno veramente lavorato e che ora subiscono anche le conseguenze del minimo di trattamento economico e senza alcuna ripercussione della disoccupazione patita, come se essa sia stata una cosa estranea alla vita del sistema dentro cui è stato costretto a sopravvivere? E per quanto riguarda la spesa sociale, invece di tagli ingiusti, sarebbe bene percorrere tutte le vie possibili per reperire i fondi necessari per dar vita ad uno stato sociale forte, civile, degno di essere chiamato tale. Occorre far stare bene i pensionati. Che non sono cittadini di serie B. Sono uomini e donne, gente nobile e degna di vivere serena e di godersi i frutti del proprio lavoro e della propria sofferenza. Noi non ci stancheremo mai di difendere questa gente: gente utile, giusta, importante per la società, tutt’altro che protesa verso cose banali; sopratutto gente che ha diritto a vivere dignitosamente, che ancora dà e non prende dalla società dentro cui svolge partecipazione nobile e importante; soprattutto attività qualificanti da cui uno Stato, disponibile ad usufruire delle loro ricche esperienze e delle loro indiscusse capacità, può trarre vantaggi di gran lunga più considerevoli del valore dei costi che invece la condizione di disoccupato comporta.
E per finire la presente riflessione, di fronte alle dichiarazioni di disponibilità dell’on.le Prodi di procedere con la riforma del sistema pensionistico, e in attuazione del protocollo d’intesa sulla riforma del TFR, siamo pronti ad accettare, esprimendo apprezzamenti, l’apertura del confronto. Ovviamente se alla base di tutto, più che una formale dichiarazione di disponibilità e di impegno per la apertura della trattativa e di chiudere positivamente il confronto, c’è la disponibilità ad accogliere le richieste nascenti dalle esigenze dei pensionati e della società connessa. E soprattutto l’impegno che, alla formalità delle dichiarazioni e delle disponibilità, ci sia altrettanta passione per concludere e avviare una fase determinante di confronti su pensioni e previdenza, sapendo che questo sottintende un profondo cambiamento di rotta rispetto al passato e una nuova e definitiva fase di ricostruzione dello stato sociale.
Il Segretario Nazionale
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